La fotografia scattata sulla popolazione della provincia di Reggio Emilia alla fine del 2023 avviene in un contesto segnato da tensioni internazionali (i conflitti bellici russo-ucraino scoppiato nel 2022 e quello israelo-palestinese dell’ottobre 2023), dopo una lunga esperienza di difficoltà come quella della pandemia che ha lasciato tracce significative e le previsioni di un PIL che torna ad avere la “sindrome dello zero-virgola”.
A queste condizioni si sovrappongono altri elementi di tensione come l’elevata inflazione, la crisi energetica che ha pesato su famiglie e imprese. Insomma, il quadro complessivo non lascia spazio a visioni particolarmente positive e prefigura un futuro molto incerto e costellato di cambiamenti continui e repentini. Tant’è che a ragione si può sostenere che siamo ormai entrati in un’epoca dove il «cambiamento è la nostra nuova normalità». Ciò nonostante, in una simile realtà le condizioni percepite dalla popolazione reggiana, seppure con gradi di difficoltà e problematicità non marginali, sono improntate in netta prevalenza a una sostanziale stabilità. O, se si vuole, a una buona capacità di tenuta e conservazione delle proprie posizioni, soprattutto se paragonate al resto della regione emiliano-romagnola e, ancor di più, rispetto alla media nazionale.
Una società che appare strutturata e salda attorno alle proprie istituzioni locali, che ha nel sistema produttivo industriale locale e nel suo know-how, in quello formativo-scolastico e nel capitale umano e professionale disponibile un insieme di capisaldi che consente una buona tenuta delle condizioni sociali ed economiche e rende competitivo e attrattivo il territorio.
Pur tuttavia, nello stesso tempo, sembrano mancare slanci di crescita, segnali che diano la sensazione di una progressione plausibile o un’accelerazione ulteriore: prevale una sorta di «medietà» nelle percezioni, sicuramente positive, ma che restano nella media, appunto, nel confronto con altre realtà simili.
In questa sede proviamo a ripercorrere alcuni degli esiti che giustifichino l’interpretazione poc’anzi avanzata, mediante alcune parole-chiave, lasciando poi l’esplorazione nel dettaglio dei risultati alle pagine seguenti.
Stabilità inclinata
Un primo aspetto riguarda le condizioni economiche percepite sia negli ultimi anni, che in prospettiva. La maggioranza dei reggiani interpellati non segnala essere intervenuti significativi cambiamenti nelle proprie risorse nell’ultimo lustro, seppure attraversato da profonde crisi come quella pandemica: la metà (50,5%) ritiene non mutata la posizione rispetto a 5 anni fa e il 54,4% prefigura di conservare la medesima situazione anche per il prossimo 2024. Nel complesso le famiglie della provincia di Reggio Emilia singolarmente dimostrano una buona capacità di tenuta, ma c’è forte preoccupazione per quello che riguarda l’economia del territorio e, in misura di gran lunga maggiore, per quella nazionale ed europea dove le previsioni per il 2024 sono nettamente all’insegna di un peggioramento (rispettivamente: 48,1%, 65,6% e 61,0%). L’interrogativo che si pone è se una famiglia può essere in grado di resistere economicamente quando attorno a sé le condizioni peggiorano.
E, infatti, l’orizzonte futuro è addensato da preoccupazioni che riguardano, in primo luogo, l’aumento del costo della vita e l’aumento dei prezzi (24,5%) e le conflittualità belliche (20,0%); in secondo luogo, il futuro per le giovani generazioni (13,9%) e dai cambiamenti climatici (10,4%).
Considerando poi l’«ascensore sociale» dei reggiani osserviamo, una volta di più, una netta prevalenza di stabilità delle condizioni: l’ascensore resta fermo nelle posizioni acquisite (56,2%). Benché una parte non marginale (34,7%) intraveda una discesa, quindi un processo di erosione delle condizioni.
Siamo di fronte, così, a una prevalente condizione economica di «stabilità», però con un «piano inclinato» che interessa una quota significativa di soggetti e famiglie reggiane.
Understatement
Collegata a queste dimensioni viene un secondo aspetto: la percezione della qualità della vita e dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni. Anche in questo caso otteniamo un esito complessivo di sostanziale saldezza delle diverse dimensioni proposte. La costruzione dell’indice generale di qualità della vita vede i due terzi degli interpellati (62,5%) non rilevare trasformazioni particolari nei diversi fattori. Esito che, confrontato con altre ricerche svolte a livello regionale e nazionale, evidenzia percezioni decisamente migliori. Se in provincia di Reggio Emilia vive un peggioramento della qualità di vita il 31,9% della popolazione, altrettanto avviene per il 41,4% degli emiliano- romagnoli e il 44,5% degli italiani.
Continuando su questo ambito tematico, più della metà dei reggiani (57,0%) ritiene che nel comune di residenza si viva nello stesso modo rispetto ad altre realtà cittadini simili, e il 33,0% persino meglio. La stessa amministrazione comunale nel 53,5% dei casi è ritenuta funzionare più o meno come nelle altre municipalità. Dunque, anche su questi versanti viene restituita un’immagine di «medietà».
Però, alla fine, emerge un elemento che appare paradossale. Da un lato, dovendo fare un bilancio complessivo, ben il 57,4% è molto e moltissimo contento di vivere nel comune dove risiede. Così, al sentimento di “somiglianza” verso altre realtà analoghe, si contrappone una rilevante contentezza e gratificazione di vivere dove si abita. Dall’altro lato, si deprime il “ruolo” e il “peso” economico e politico che la provincia reggiana detiene in ambito regionale. Infatti, solo il 19,0% ritiene che la propria realtà abbia una posizione importante nell’ambito produttivo a livello regionale e il 15,0% parimenti sul piano politico. Come se la provincia di Reggio Emilia avesse interiorizzato un tratto tipico da understatement, volto a sminuire il peso o la gravità oltre il reale, a non assegnare il ruolo effettivo giocato in ambito regionale.
Istituzionale
Un terzo aspetto che emerge fra le righe della ricerca è la presenza di un sentimento ancorato alle istituzioni, più che alle individualità politiche. Come se in questa realtà territoriale i processi di delegittimazione e secolarizzazione avessero aggredito più i partiti e la Chiesa, che le istituzioni pubbliche. E le stesse soggettività politiche fossero collocate in secondo piano, rispetto alle istituzioni che rappresentano. In questo senso è possibile comprendere come, a fronte di eventualità difficoltà economiche, i reggiani – dopo la famiglia (41,1%) e gli amici (23,6%), cui si rivolgerebbero per primi per un aiuto – sceglierebbero i servizi del Comune e dello Stato (complessivamente 17,6%). Semmai, va notato come la dimensione comunitaria, nell’espressione delle diverse reti di solidarietà locali, costituisca un elemento decisamente marginale: alla parrocchia si rivolgerebbe solo il 2,5% dei reggiani, e ancora meno ai vicini di casa (1,3%) o alla gente del paese (1,0%). Come se, in qualche modo, tutto venisse sublimato all’interno delle cerchie più ristrette (famiglia e amici) o dell’assistenza pubblica (Comune e Stato). Lo spazio intermedio costituito dai mondi del volontariato o comunitari fosse assai ristretto o meno visibile.
Inoltre, dovendo assegnare il livello di fiducia verso le istituzioni locali dopo le Forze dell’ordine (34,8%), troviamo il Comune (26,5%) e la Pubblica Amministrazione (26,5%), ben più arretrato il Sindaco (13,9%). Dunque, la dimensione istituzionale, collegata a un buon funzionamento dell’amministrazione pubblica e alla presenza di servizi territoriali diffusi, ha un radicamento ancora importante nell’immaginario collettivo, che supera la soggettività e i processi di personalizzazione intrapresi in particolare dalla politica.
Società ed economia «laburista»
Il quarto aspetto riguarda gli orientamenti verso il lavoro e le imprese. Gli esiti raccolti indicano la presenza di un orientamento «laburista», non solo e non tanto sotto il profilo delle culture politiche (il 32,4% della popolazione si colloca all’interno della sinistra-centrosinistra, però con il 41,7% che non si riconosce più nei tradizionali schieramenti politici), quanto del lavoro e della produzione come elemento identitario.
Così, nel dover riconoscere l’aspetto che più di altri identifica la provincia reggiana, gli interpellati indicano il Parmigiano reggiano (44,3%) e l’industria (29,3%). La fiducia negli attori economici è attribuita soprattutto ai piccoli e medi imprenditori (32,2%). L’organizzazione di rappresentanza ritenuta più attiva nel promuovere gli interessi delle imprese sono le Associazioni degli industriali (17,4%). Dovendo indicare quali sono i settori più importanti, la scelta si concentra sull’industria metalmeccanica (38,8%) e quella alimentare (34,9%), lasciando complessivamente al terziario pubblico e privato l’11,4%. Ancora, di fronte all’ipotesi di lasciare spazio a nuovi insediamenti industriali, ben il 33,7% si dichiara totalmente d’accordo e un ulteriore 37,7% rivela una disponibilità condizionata al fatto che siano imprese sostenibili o che non si costruiscano nei pressi delle abitazioni residenziali. Alla fine, costruendo un indicatore di atteggiamento verso le imprese, quanti sono nettamente a loro favore costituiscono il 41,7% dei reggiani, mentre questa quota si ferma al 17,7% in Italia. Per converso, un manifesto atteggiamento anti-impresa è proprio solo del 6,1% degli interpellati (22,7% in Italia).
Se ci spostiamo sul versante dei fattori di competitività e attrattività del territorio reggiano, una volta di più risalta la presenza della qualità della manodopera reggiana (47,7%), unitamente a un sistema scolastico tecnico-professionale e universitario di grande spessore (48,0%). Al punto che la capacità di attrazione della provincia si fonda, su tutti, sulla presenza di un capitale umano di elevata cultura professionale (57,9%) e sulla presenza di un solido know-how manifatturiero (37,7%). Siamo in presenza, quindi, di una società e un’economia ancora fondata sul «laburismo», sul lavoro e sull’impresa, e segnatamente su quella manifatturiera.
Al termine, l’immagine complessiva riverberata dalla presente ricerca è di reggiani i cui orientamenti sono ispirati a una «medietà», a un atteggiamento «fattivamente sobrio» dove il lavoro e l’industria costituiscono un caposaldo dell’identità sociale; dove le istituzioni hanno un peso superiore alle individualità politiche e costituiscono ancora oggi una trama importante della coesione. Con grande capacità di resistenza e resilienza, senza atteggiamenti da primattore, ma anche senza slanci particolari, mantenendo un comportamento di basso profilo, un understatement diffuso.
Parafrasando la ben nota canzone di Luciano Ligabue, i reggiani riverberano un’immagine di quanti fanno una “vita da mediano”:
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Una vita da mediano con dei compiti precisi a coprire certe zone
a giocare generosi lì
sempre lì
lì nel mezzo
finché ce n'hai stai lì
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Una vita da mediano lavorando come Oriali anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali […]