Assemblea Generale 2025: la relazione della Presidente
La relazione integrale della Presidente di Unindustria Reggio Emilia Roberta Anceschi, che ha aperto i lavori dell'Assemblea Generale 2025 di venerdì 20 giugno al Teatro Municipale Valli.
Comunicazione associativa
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20/06/2025
Assemblea Generale 2025: la relazione della Presidente

Autorità, Signore e Signori, care Colleghe e cari Colleghi, Presidente Orsini,

benvenuti all’Assemblea Generale delle Associate di Unindustria Reggio Emilia.

Sono trascorsi ottant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Per celebrare il 1945, la Liberazione e il riscatto della nostra comunità, della società civile reggiana e delle nostre imprese, abbiamo scelto le parole con cui Dante descrive la sua uscita dagli inferi: 

“e quindi uscimmo a rivedere le stelle”.

L'inferno di cui ci racconta Dante Alighieri è il luogo della miseria morale in cui versa l’umanità decaduta, privata ormai della Grazia divina capace d’illuminare le azioni degli uomini. 

Così è stato l’abominio di una guerra durata quasi sei anni, alla cui fine si sono contate oltre cinquanta milioni di vittime.

Ciò che noi siamo oggi è l’esito dei dolori, delle idee e delle speranze che in quei giorni – proprio quando “uscimmo a riveder le stelle” – concorsero ad avviare un’autentica rinascita.

L’Unione degli Industriali della provincia di Reggio Emilia nasce in quei mesi – difficili ed esaltanti allo stesso tempo – nel corso dei quali il passato, il presente incerto e un futuro intensamente desiderato si intrecciarono tra loro dando vita a qualche cosa di nuovo e di bello. 

“Libertà” è la parola chiave per comprendere appieno non solo il nostro 25 aprile, ma anche la nascita della Repubblica e della sua Costituzione.

La Libertà cui facciamo riferimento è, da una parte, la capacità di vivere liberi dall’aggressione degli altri e, dall’altra, la condizione per favorire la sicurezza economica e dunque l’indipendenza di ciascuno.

In tutto ciò l’impresa industriale ha giocato e gioca un ruolo fondamentale.

Voglio richiamare in proposito le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che il 25 aprile scorso ha ricordato che “ottanta anni fa le fabbriche si manifestarono luoghi di solidarietà e scuole di democrazia”.

Grazie, signor Presidente, per aver ricordato agli italiani che la produzione non è solo economia, ma anche crescita umana, partecipazione e integrazione sociale.

L'industrializzazione senza fratture

Nel corso dei decenni il territorio reggiano ha saputo concretizzare la visione di quella industrializzazione “senza fratture” elaborata dal grande economista Giorgio Fuà.

Mi riferisco a un modello di sviluppo industriale che ha segnato il Nord Est e la dorsale adriatica del Paese.

Una soluzione originale che ha sfidato le convenzioni degli economisti e degli esperti d’impresa i quali, a lungo, hanno ignorato lo sviluppo delle piccole e medie industrie, dei distretti e delle filiere.

Un sistema manifatturiero diffuso, il nostro, che ci ha permesso di competere e di eccellere, portando il made in Italy emiliano in ogni angolo del mondo. 

Nonostante la crisi delle Officine Reggiane e la forte tradizione agricola, siamo diventati dei campioni industriali di classe mondiale.

Con il nostro successo, abbiamo incarnato il paradosso del calabrone che, ignorando le leggi della fisica, riesce a volare.

Nella consapevolezza di ciò, oggi voglio dare atto pubblicamente alle imprenditrici e agli imprenditori reggiani e alle loro decine di migliaia di collaboratori, del capolavoro economico e sociale che, insieme, sono riusciti a realizzare in questi ottant’anni.

La società coesa

Un’autentica epopea realizzata non solo grazie alle grandi doti imprenditoriali e a una diffusa etica del lavoro ben fatto, ma anche a quella straordinaria coesione sociale che rappresenta la cifra distintiva della società emiliana.

Una coesione confermatasi di anno in anno nonostante la grande trasformazione avviata dalla crisi petrolifera della metà degli anni ’70. 

Da allora abbiamo affrontato di tutto. 

Penso alla competizione internazionale e alla globalizzazione finanziaria, ai cambiamenti climatici e demografici, alla ristrutturazione dei sistemi di welfare, ai movimenti migratori e, infine, al progresso tecnologico con le sue talvolta pesanti ricadute nel mercato del lavoro e nella vita di tutti.

A fronte di simili cambiamenti non abbiamo mai smarrito la fiducia nella possibilità di trovare soluzioni condivise ai problemi.

Un dato che trova puntuale conferma nelle ricerche sul sentiment dei cittadini della provincia di Reggio Emilia realizzate da Unindustria negli ultimi anni. 

In queste analisi i reggiani dichiarano, senza esitazioni, di aver fiducia nelle istituzioni locali e nel sistema delle imprese.

Un’affermazione preziosa perché la nostra complessa realtà economica e sociale è chiamata ad affrontare la più grande trasformazione dai tempi del dopoguerra.  

Sospesi tra due ere

In questi difficili anni, infatti, non siamo ancora entrati pienamente nella nuova era e dunque riusciamo solo a vederne i contorni ma non riusciamo ancora a cogliere le sue caratteristiche distintive.
Ciò che proviamo, per ora, è solo il senso di una fine, la consapevolezza che il mondo precedente è passato.

Peter Drucker – uno tra i pensatori più influenti in materia di teoria e pratica del management – sosteneva che “il pericolo più grande in tempi di turbolenza non è la turbolenza, ma agire con la logica di ieri.”  

Per questa ragione siamo chiamati, come persone e come comunità, ad elaborare e sviluppare le competenze di navigazione del ventunesimo secolo.

L'economia reggiana

Un obiettivo da perseguire partendo dall’attuale realtà.

Nello scorso anno in provincia di Reggio Emilia il Pil è risultato in crescita dello 0,4%, dunque al di sotto delle previsioni, che ipotizzavano per la fine dell’anno un aumento più che doppio, ma comunque in linea con il dato regionale e nazionale.

A influenzare il rallentamento della crescita nel nostro territorio sono state le difficoltà che hanno riguardato in particolare il mondo dell’industria, con un saldo al 31 dicembre non solo negativo, ma peggiore rispetto alle previsioni già negative di ottobre. 

Per il 2025 le prospettive delineano un quadro in ulteriore leggera flessione, che rimanda la ripresa al 2026, anno in cui invece si prevede un rimbalzo positivo dell’1,6%.

Ai risultati leggermente positivi del 2024 hanno contribuito soprattutto le costruzioni, con un +3,6%, l’agricoltura, con un +6,2% e i servizi con +1,2%. 

In un contesto di tensioni commerciali particolarmente accentuate, l’evoluzione della domanda estera rimane soggetta a forte incertezza. Dopo il calo del 6,5% registrato nel 2024, nel primo trimestre dell’anno le esportazioni reggiane continuano a mostrarsi in sofferenza con una flessione del -3,8%.

Quanto all’occupazione, nel 2024 abbiamo registrato una crescita di circa il 2%, un trend positivo che dovrebbe confermarsi nel 2025.

Infine, nonostante la fase delicata dell’industria, il reddito disponibile per le famiglie nel 2024 è risultato in crescita del 4,4%, dato che seppur leggermente in flessione dovrebbe essere confermato anche per l’anno in corso.

Riferendomi ancora ai salari, credo indispensabile evidenziare che a Reggio Emilia, come nel resto d’Italia, le retribuzioni più elevate e i meccanismi più efficaci per il recupero dell’inflazione sono quelli previsti e regolati dai contratti di Confindustria.

Il modello contrattuale adottato dai Metalmeccanici rappresenta la massima e più evoluta conferma di questo stato di cose.
A questo proposito, auspichiamo che si possa a breve trovare un punto di incontro che porti al rinnovo del contratto con soddisfazione di entrambe le parti.

Guardiamo in ogni caso con attenzione al fatto che una sempre più elevata diffusione dei cosiddetti “contratti pirata” porti a una perdita di potere d’acquisto che non solo abbatte la dignità della vita e del lavoro, ma spinge anche verso il basso i consumi e la crescita.

Come ha giustamente evidenziato il presidente Orsini, si tratta di un problema nazionale.

Per risolverlo non servono le delibere comunali in favore di questa o quella parte sociale, che dividono, bensì un impegno corale per alzare ancora di più le retribuzioni anche nell’industria.

Per raggiungere questo obiettivo occorre diffondere i contratti di produttività aziendali, quelli nei quali la crescita dell’impresa e la crescita del reddito dei lavoratori vanno di pari passo, perché non può esistere la prima senza la seconda.

Tornando alla realtà locale, è opportuno non distogliere l’attenzione dalle fragilità che il sistema industriale emiliano esprime nonostante i suoi indubbi successi.
 

Forti e fragili allo stesso tempo

In un contesto globale dove reshoring, conflitti armati, guerre economiche, tensioni sulle catene di fornitura, digitalizzazione e Intelligenza Artificiale sono all’ordine del giorno, le aziende reggiane devono rivedere il loro posizionamento e i loro modelli di business.

Per gestire tale complessità non è sufficiente che l’impresa aumenti la propria capacità di assorbimento tecnico/tecnologico, ma deve poter accedere anche a un insieme di risorse e stimoli innovativi che si trovano al suo esterno, sia esso vicino o lontano.

Nasce da questa consapevolezza l’attuale impegno associativo volto a rigenerare le premesse per una nuova e più qualificata fase di sviluppo, combinando tra loro, per quanto possibile, le energie espresse dall’imprenditoria con quelle provenienti dal territorio.

Negli ultimi tre anni l’Associazione degli Industriali della provincia di Reggio Emilia ha introdotto una grande novità nella propria azione di rappresentanza, avviando una strategia di relazione con il territorio attenta alle diverse prerogative socio-economiche che lo caratterizzano.

Una nuova interpretazione di territorio

Come molti di voi forse ricorderanno, due anni fa abbiamo celebrato la nostra Assemblea Generale a Castelnovo né Monti.

Lo abbiamo fatto mossi dalla consapevolezza che la conoscenza della realtà appenninica, e dunque del suo territorio, rappresenta uno dei prerequisiti essenziali per comprendere le specifiche necessità espresse dalle imprese di quel sistema locale.

Si tratta di una esperienza importante perché grazie ad essa – e al Protocollo d’intesa sottoscritto con i sette comuni dell’Unione Montana – abbiamo potuto conoscere la straordinaria esperienza della Strategia Nazionale delle Aree Interne che proprio nell’appennino reggiano ha registrato il suo massimo successo.

Mi riferisco alla creazione di condizioni che permettono a un ben definito ambito territoriale di concorrere, di concerto con la Regione e con il Governo, alla definizione e al finanziamento degli interventi indispensabili allo sviluppo locale.

L’anno successivo, nel 2024, abbiamo rivolto la nostra attenzione alla pianura reggiana scegliendo non solo di organizzare la nostra Assemblea Generale a Guastalla, ma anche di proporre un’inedita collaborazione a tutti gli Amministratori locali. Colgo l’occasione per salutare e ringraziare i Sindaci e le amministrazioni dei comuni di Boretto, Brescello, Campagnola Emilia, Castelnovo di Sotto, Correggio, Fabbrico, Gualtieri, Guastalla, Luzzara, Novellara, Poviglio, Reggiolo, Rio Saliceto, Rolo e San Martino in Rio.

Il patto per lo sviluppo della pianura

Con tutti loro alcune settimane fa abbiamo sottoscritto il Patto per lo sviluppo della Pianura reggiana. 

Una collaborazione istituzionale – operativa dal mese di maggio – finalizzata alla elaborazione dei progetti destinati a essere sostenuti dalle risorse economiche messe a disposizione dai fondi dell’Unione Europea.

La programmazione europea, come noto, si articola per settennati; quella per il periodo 2028-2034 è il riferimento per le strategie delle regioni e dei territori, che devono avere capacità di anticipazione per intervenire positivamente e tempestivamente nella negoziazione del nuovo ciclo di bilancio.   

Con questo Patto, la Pianura reggiana ha scelto di mettere al lavoro le proprie potenzialità fondate su competenze industriali e tecnologiche di classe mondiale e su un’elevata capacità amministrativa. 
Si tratta di una iniziativa di coprogettazione dal basso – sostenuta con passione dal Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, Vincenzo Colla, che saluto e ringrazio – che non ha precedenti in Italia in quanto introduce una nuova e più efficace governance nei processi complessi, come la pianificazione dello sviluppo locale.   

Nel corso del 2025 saranno coinvolti un centinaio di esponenti dei mondi dell’istruzione, della sanità, dell’industria, dell’agricoltura, dell’housing e delle infrastrutture.

Sulla base dell’intenso programma di lavoro, che prevede la gestione di ben sei tavoli tematici, contiamo di poter presentare nei primi mesi del prossimo 2026 il piano di interventi di sistema per il miglioramento delle performance economiche e sociali.

La prospettiva strategica che ci siamo dati è far sì che la Pianura Reggiana sia finalmente ammessa a sedere “al tavolo dei grandi”, riconoscendo in tal modo la sua oggettiva importanza in termini di contributo quantitativo e qualitativo alla competitività regionale e nazionale.

Reggio Emilia una città a metà del guado

Se da una parte ci siamo sforzati di interpretare le attese degli imprenditori e degli amministratori della provincia, dall’altra abbiamo rilevato le difficoltà che la città di Reggio Emilia incontra non solo nello sviluppo di una rinnovata progettualità, ma anche in riferimento al ruolo che come capoluogo è chiamata a giocare nei confronti della Montagna e della Pianura.

Siamo convinti ora più che mai che Reggio Emilia debba dare contenuti alla sua nuova identità mediopadana. 

In altri termini, deve trovare – dentro di sé, nel corpo fisico della sua struttura urbana e nella vitalità dei suoi imprenditori – le ragioni e le convinzioni per includere il successo della stazione Mediopadana entro un percorso di crescita equilibrata e sostenibile dell’economia urbana e territoriale. 

Nell’organizzare le infrastrutture, gli insediamenti e i servizi che legano il nodo ferroviario al suo contesto urbano e territoriale, Reggio Emilia non può limitarsi a immaginare sé stessa come un sobborgo residenziale della sempre più “inaccessibile” e proibitiva metropoli milanese. 

Tutto ciò anche se l’Esagono e il suo territorio possono risultare assai più desiderabili – e a più basso costo – dell’hinterland milanese.

Deve, al contrario, proporsi come un attrattore di economie e di imprese, un luogo nel quale si ibridano le abilità e i valori locali e le aperture globali di una industria che vuole conservare qui, in questo ambito territoriale, la sede di una specializzazione manifatturiera di rilievo ormai globale.

Il corpo della città ha registrato in tempi recenti trasformazioni profonde, sostenute dall’impulso della programmazione urbanistica dell’Amministrazione comunale e attraversate dalle decisioni di investimento di attori economici privati e di agenzie pubbliche.

Trasformazioni altrettanto importanti e rilevanti si prospettano nello scenario dei prossimi anni. 

Tanto più rilevanti se si saprà sostituire l’euforia edilizia, generata da un ciclo immobiliare le cui condizioni non sono replicabili, con una ragionevole fiducia sul ruolo industriale e post industriale della città. 

Dobbiamo credere nelle possibilità di questo territorio e delle sue imprese di sostenere con successo la sfida della innovazione per conservare, trasformandola, sia la propria reputazione, sia il proprio posizionamento competitivo nelle Catene Globali del Valore.

Tutto ciò tenendo bene a mente che le trasformazioni realizzate o che hanno preso avvio negli ultimi quindici anni in città, sono state concepite in un contesto economico e culturale molto diverso.

Un mondo che non conosceva ancora i caratteri e gli orizzonti della lunga fase di crisi che l’intero occidente ha subito a partire dal 2009-2011 e la pandemia poi.

Un susseguirsi di eventi negativi che, come abbiamo visto, ha comportato una radicale ridefinizione delle gerarchie e delle geografie della produzione globale. 

Un dato, quest’ultimo, che impone il collocamento delle trasformazioni locali già programmate o ancora da programmare, all’interno di nuovi orizzonti di criticità e opportunità.

Reggio Emilia città universitaria

Si ascrive a pieno titolo in questo processo di profondo ripensamento la questione dell’Università.

Nata nel 1998 con l’originale scelta di configurare un Ateneo a “rete di sedi”, in due decenni la presenza dell’Università di Modena e Reggio Emilia si è sviluppata con eccezionale intensità.

Oggi accoglie oltre 10.000 studenti presenti in sette Dipartimenti, tre dei quali hanno sede amministrativa a Reggio Emilia.

Una storia di successo che, tuttavia, configura anche un nodo politico che chiede di essere sciolto.

Mi limito a richiamare un solo dato emblematico: il programma di sviluppo edilizio per la realizzazione delle diverse sedi locali.

Un impegno che sin qui si è poggiato in larga misura sulla disponibilità della Amministrazione comunale da una parte e, in misura non certo minore, sulla generosità di donatori privati, tra i quali il mondo industriale spicca per l’importanza del contributo.

Due fattori, quelli appena richiamati, che evidenziano la marginalità degli investimenti diretti realizzati a Reggio Emilia dall’Ateneo stesso.

Investimenti che iniziano a manifestarsi solo ora e limitatamente all’intervento per il polo del San Lazzaro riguardante le aule, i laboratori e la residenza universitaria.

Dopo un quarto di secolo dall’avvio della sede reggiana ciò che colpisce maggiormente, dunque, è la diversa consistenza del patrimonio immobiliare di UNIMORE nelle due sedi di Modena e Reggio Emilia.

Un dato che esprime in modo eloquente le asimmetrie presenti nella attuale realtà organizzativa dell’Ateneo, sicuramente frutto del loro diverso trascorso storico, ma espressione anche delle politiche più recenti che richiedono ora una svolta.

In tale prospettiva è indispensabile ridefinire il “patto” che nel 1999 portò alla creazione della sede reggiana dell’Ateneo. 

L’Università di Modena e Reggio Emilia deve non solo diventare a tutti gli effetti un ateneo a “rete di sedi”, ma anche perseguire alcuni traguardi ambiziosi.

Penso a 15.000 studenti, a una proporzione tra lauree triennali, specialistiche e dottorati analoga a quella dei dipartimenti di Modena, a una altrettanto paritetica distribuzione dei servizi amministrativi, a una più equilibrata ripartizione degli investimenti e, infine, a una più stretta e strutturata collaborazione con le imprese reggiane. 

Mi riferisco a una ancora più intensa cooperazione che faccia tesoro delle esperienze di partenariato università-imprese realizzate negli ultimi otto anni con la co-progettazione di innovativi percorsi di studio.

In tale prospettiva è indispensabile la definizione di un Patto “a tre”, sottoscritto da Università, Comune di Reggio Emilia e stakeholder urbani, per programmare sviluppo e funzioni degli insediamenti universitari. 

L’obiettivo politico da perseguire è quello di fare di Reggio Emilia una compiuta città universitaria adeguata e coerente con le esigenze di un sistema industriale di classe mondiale capace di esportare ogni anno 14 miliardi di euro nel mondo. 
Dal raggiungimento di questo obiettivo politico dipende una parte considerevole del futuro di tutti.

Un nuovo sviluppo dopo lo sviluppo

Tanto la società reggiana – nelle sue articolazioni della montagna, della via Emilia e della pianura – quanto le diverse amministrazioni e le imprese sono chiamate oggi ad elaborare un progetto di sviluppo coerente con l’incerta prospettiva che abbiamo di fronte.

Il nostro ottantesimo anniversario è l’occasione per interrogarci su come favorire lo sviluppo umano e territoriale di fronte alle sfide impreviste di domani. 

Come prepariamo le persone per lavori che non sono stati ancora creati, per utilizzare tecnologie che non sono state ancora inventate e per rispondere a problemi sociali che non sono ancora sorti? 

E come possiamo dare alle persone le competenze necessarie a lavorare insieme per co-creare una società fiorente capace di misurarsi con il mondo che verrà?

Nell’accostarsi a tutto ciò, occorre tenere presente che la capacità di un sistema urbano di accogliere e ospitare persone, famiglie, imprese, istituzioni e funzioni in uno scambio aperto e produttivo è oggi una questione di primaria importanza.

L’obiettivo dell’attrattività diventa così un fatto di rilevanza strategica che riguarda non solo imprese, talenti e capitale umano, ma anche le persone e le famiglie.

Uomini, donne e giovani che intendono dirigere la propria attenzione e le proprie scelte di insediamento verso una città e una provincia capaci di proporre loro occasioni di lavoro, crescita, formazione e socialità.

Una decisione tanto più rilevante e urgente da sollecitare e gestire in quanto, come nel nostro caso, si è in presenza di una struttura demografica squilibrata e incapace di garantire il ricambio delle generazioni.

Di questo ci parleranno tra poco i nostri ospiti.

Se da una parte le nostre comunità sono chiamate a mettersi al lavoro per costruire il loro futuro, dall’altra è indubbio che il nostro Paese nel suo complesso deve credere e investire di più sul suo futuro manifatturiero.


Caro Presidente Orsini, caro Emanuele, 

abbiamo apprezzato le parole con cui hai aperto la tua relazione alla recente Assemblea di Confindustria che si è tenuta a Bologna nello scorso mese di maggio.

Le ripropongo fedelmente: “… L’amara verità è che oggi sia l’Europa che il nostro paese affrontano il rischio concreto di deindustrializzazione. Occorre trovare soluzioni efficaci per vincere l'incertezza”.

Questa è oggi esattamente la posta in gioco.

Non intendo anticipare i contenuti del tuo intervento, tuttavia voglio che tu sappia che le imprenditrici e gli imprenditori reggiani condividono sia la proposta di un Piano Industriale Straordinario per l’Italia, avanzata da Confindustria al Governo, sia il metodo del “lavorare insieme” che hai suggerito.

Un approccio, quest’ultimo, indispensabile non solo nei confronti del Governo e delle istituzioni italiane ed europee ma anche con le organizzazioni sindacali. 

Quanto alle politiche europee serve un radicale mutamento di impostazione: le scelte degli ultimi anni stanno presentando un conto pesantissimo.

Hanno indebolito la nostra competitività industriale, hanno messo a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro e, di conseguenza, l’intero sistema di welfare e di coesione sociale: cuore del modello europeo dal secondo dopoguerra.

Bisogna intervenire subito per cambiare questa rotta.

Sul Green Deal, l’errore è stato anteporre l’ideologia al realismo e alla neutralità tecnologica: ci siamo dati i tempi e gli obiettivi ambientali più sfidanti del mondo, ma senza alcuna stima degli effetti e dei costi sull’industria e sui lavoratori e le loro famiglie.

Il resto del mondo non condivide né i nostri standard, né i loro costi, e tutto ciò ci porta fuori mercato.

Dobbiamo tutti trarne le conseguenze.

Infine, interpretando il pensiero degli imprenditori e delle imprenditrici oggi qui riuniti voglio ricordare la necessità di contenere l’insostenibile costo dell’energia. 

Il gas è ormai da tempo il tema centrale: se confrontati con la Spagna paghiamo il 70% in più, mentre il differenziale con la Germania è del 50%. 

Si tratta di ordini di grandezza impressionanti che mettono fuori mercato le nostre produzioni. 

Unindustria Reggio Emilia ha sostenuto e sostiene con forza la richiesta di Confindustria volta ad aprire al più presto un percorso che porti alla definizione di un piano energetico strutturale e di lungo periodo. 

L’industria nazionale, così come quella reggiana, ha bisogno di un nuovo decreto legge per ridurre in modo strutturale i costi energetici. 

È indispensabile che il Governo assuma una decisione coraggiosa, che preveda interventi immediati e mirati a sostegno delle imprese e dei distretti industriali, attualmente esclusi dalle misure approvate nello scorso mese di aprile.  


Autorità, signore e signori, 

per forgiare un mondo nuovo servono strumenti nuovi e un patto nuovo tra tutti noi, guardando all'interesse comune. 

A ottanta anni dalla Liberazione è giunto nuovamente il tempo della responsabilità, del coraggio e della determinazione.

La necessità di costruire il futuro – che accomuna il presente al lontano 1945 – chiama tutti all’impegno.

Dobbiamo fare sì che anche le nuove generazioni possano uscire da una condizione di apatia priva di speranza per tornare, così come seppero fare i nostri padri, “a rivedere le stelle”.
 

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